Da Cracovia a Montecarlo ieri sera è andata in scena una farsa che mette in ridicolo l’intero circo del calcio senza che molti di noi riescano a comprenderne il significato profondo.
Da ultra trentenne emigrato dalla sua terra natia inseguendo un lavoro che detesto e un miserabile stipendio di 1100 euro al mese (e, che ci crediate o meno, la lista di persone che gioirebbero a poter prendere un tale stipendio è tanto lunga quanto i venerdì neri sull’autostrada del sole) non posso che rimanere schifato da questa giostra. L’affaire Donnarumma non è un caso strampalato. Un episodio. Una gazzarra mediatica. Il caso Donnarumma è l’esempio più vivido di come nell’epoca del turbo-professionismo si siano perse la cognizione di tempo e di spazio. Il realismo è andato a farsi fottere. E come per i manager del turbo-capitalismo che guadagnano 1000 volte rispetto ai dipendenti che poi licenziano per far tornare i conti, si è entrati nell’epoca del surreale.
La parte più preoccupante della questione è rappresentata dalle molte voci (in ambito giornalistico e non solo) che si sono levate in difesa del ragazzo e del suo “manager”. In molti sulla carta stampata e nelle tv hanno bollato come moralisti d’accattonaggio gli indignati tifosi del Milan. Quelli che, quando sono fortunati guadagnano 1100 euro al mese, e ne spendono una parte per andare la domenica allo stadio e portarci i figli (pure in traferta) o per farsi l’abbonamento alle pay-tv. Proprio quelli che con i loro pochi, stramaledettissimi e strasudatissimi euro alimentano questa giostra surreale nella quale l’infamia vuol essere fatta passare per scelta legittima e 5 milioni di euro all’anno per una cifra che non rispecchia il valore di un diciottenne sul cui mobiletto della cameretta probabilmente ci sono ancora le sorpresine dell’uovo kinder tutte in fila.
“Le bandiere nel calcio non esistono più”. “E’ normale che un lavoratore passi ad un’azienda che gli offre un contratto migliore”. “Donnarumma, pur essendo un campione, fino ad ora ha giocato ad uno stipendio più basso rispetto a quello di molti dei suoi compagni (scarsi)”. Ehhh??? Ohhh??? Ma ci fate o ci siete? Ecco. Siamo ormai talmente assuefatti al surreale da accettare che professionisti navigati possano esprimere i concetti su citati senza che arrivino a prenderli quelli del TSO.
In un mondo in cui due architetti che si sono fatti il mazzo sui libri per 20 anni sono costretti ad emigrare a Londra perché qui trovano solo stage a rimborso spese c’è gente di diciotto anni che rifiuta un ingaggio da 5 milioni di euro nella sua squadra del cuore? Non ci posso credere. Non ci voglio credere. Non può essere vero. E infatti, per come la vedo io, la realtà che sta sotto al coperchio è ben peggiore. Ormai della volontà dei calciatori non frega un cazzo a nessuno. Questi giovani ragazzi, spesso molto poco istruiti e soprattutto ignari di cosa sia la vita reale, sono diventati merce in mano a speculatori della peggiore risma. Sono “tonti” e “quasi inconsapevoli” cavalli da corsa alle mercé di stallieri che gli succhiano soldi con l’idropompa, illudendoli con lo zuccherino dell’idea di una vita agiata che può essere ancora più agiata “se ci mettiamo un milioncino in più”. Il caso Donnarumma è solo uno spunto. Un esempio clamoroso di ciò che accade da anni ogni estate e ogni mese di gennaio.
Sti ragazzi non conoscono la matematica della realtà di tutti i giorni. Sti ragazzi sono davvero convinti che passare da un milione di euro a due milioni di euro possa cambiare loro l’esistenza. In meglio. Non capiscono che la vita cambia solo per chi intasca le parcelle, mentre loro starebbero alla grande anche solo con mezzo milione all’anno. Potrebbero permettersi ugualmente il macchinone, la villa, la servitù e le escort. Facendo il mestiere più bello del mondo e, nel caso di Donnarumma, avendo pure un pubblico che ti adora.
Un’operaio che passa da mille a duemila euro svolta. Cambia casa, cambia auto. Iscrive il figlio all’università. Porta la moglie fuori a cena qualche volta in più. E soprattutto può pagare le bollette prima che scadano e comprare un po’ di pesce fresco di qualità anziché i bastoncini del discount. Per un calciatore che passa da uno a due milioni cosa cambia davvero? Cosa gli mancava con un milione all’anno? Quel milione in più cosa aggiunge al milione precedente? Ve lo dico io cosa cambia: il procuratore ingrassa, mentre il ragazzo si prende dell’infame e comincia a fare la trottola vagante da una città all’altra (perché poi l’aumento dell’ingaggio diventa tipo l’eroina). Cambia ogni paio di anni squadra riuscendo a farsi volere male da tutti i tifosi che prima gli avevano voluto bene. Diventa un apolide. Uno che dovunque segna non si ricorda nemmeno se può esultare o meno. I giramondo alla Borriello vanno bene. Quando sono pochi e hanno quel carattere lì risultano pure simpatici. Ma sono simpatici quando rappresentano l’eccezione. Quando diventano la regola allora diventano odiosi.
Cambiare squadra è leggittimo, ci mancherebbe altro. Grandi campioni sono stati bandiere per più di un club. Parlando di Milan come fare a non citare Alessandro Nesta o Andriy Shevchenko? Ma i gradini della carriera vanno scalati con cautela. Uno alla volta. A Roma (sponda Lazio) nessuno odia Nesta. A Kiev nessuno odia Sheva. Loro hanno fatto dei passi consapevoli o, in parte, sono stati costretti dagli eventi. La loro non era una questione solo di quattrini, bensì una scelta professionale chiara: si sono spostati ad un’età matura perché volevano compiere qualcosa di importante. Provare a vincere dei titoli che, nelle squadre per cui erano tesserati, non avrebbero avuto alcuna chanche di vincere. E nessuno si è permesso di chiamarli #Dollarumma. La capite la differenza?