Avevo solo sette anni in quella bellissima estate del 1990. Avevo cominciato ad accostarmi al mondo del pallone a primavera. C’era mio padre tutto preso da quel finale convulso di campionato che vide il Napoli spuntarla sul Milan dopo una serie infinita di colpi di scena e di polemiche. Era l’anno dei mondiali e, sempre papà, aveva deciso di fare un salto nel futuro acquistando per l’occasione la nostra prima tv a colori: un Trinitron Sony che, a vederlo adesso (è ancora da qualche parte in cantina), sembra uscito direttamente da Videodrome.
Il calcio divenne all’improvviso il centro del mio mondo. Quella canzone rimandata ossessivamente a qualsiasi ora da tutte le radio e da tutti i canali tv, i pupazzetti di Ciao, le bandiere issate su ogni balcone del paese. La scuola era finita e non c’erano compiti da fare. Le giornate cominciavano con il super santos sotto braccio su per la salita verso la piazzetta e finivano col super santos giù per la discesa verso casa. E durante quelle interminabili ore era tutto un giocare richiamando i nomi di campioni che, noi bambini di paese più avvezzi alle ginocchia sbucciate che alla tv, non sapevamo neanche bene chi fossero. Presi anche una secchiata d’acqua dalla vicina un pomeriggio alle due perché, per mezz’ora, incurante delle raccomandazioni di mia madre sul caldo e sul fatto che a quell’ora non bisognasse far rumore, corsi su e giù per il viottolo col pallone al piede urlando nomi a casaccio: “Vialli, Vialli, Baggio, Giannini, Baggio!” Tornai a casa tutto zuppo e le presi anche da mia madre, che comunque non esitò a prendersi a male parole con la vicina, da un balcone all’altro. Cose del sud. Di un vecchio e romantico sud che quasi non esiste più.
In realtà non ricordo quasi nulla delle partite di quel mondiale. Pochi frames sparsi: le facce di Schillaci, il codino di Baggio, il volto squadrato di Goycochea che somigliava tanto a quello dei cattivi nei film. E poi ricordo quel commissario tecnico. Azeglio Vicini aveva solo 57 anni eppure a me faceva l’impressione del nonnino bravo, quello che riesce ad insegnarti tante cose ma senza mai alzare la voce. E’ probabilmente per merito suo e del suo fantastico gruppo che, sin da piccolo, sono stato abituato a considerare quell’azzurro il colore della mia vera squadra del cuore, crescendo con la nazionale quale punto di riferimento supremo. Senza nulla togliere al club per il quale tifo in maniera sfegatata e a causa del quale tutte le settimane rischio le coronarie davanti alla tv. Ed è sempre grazie ad Azeglio Vicini se, quattro anni dopo, vissi con tanto amore e tanto trasporto l’avventura della nazionale di Sacchi ai mondiali del 1994, i primi che, ormai undicenne, riuscii a seguire con una certa cognizione di causa.
Grazie di tutto mister. Un giorno, quando mio figlio sarà più grande, racconterò lui di quella bellissima epopea e di quel record di 13 punti su 14 a disposizione che, colpa di un destino beffardo che spesso prova divertimento nell’accanirsi contro le persone perbene, non fu sufficiente a garantirci una vittoria che sarebbe stata stra-meritata. Grazie ancora.