L’addio di Cristiano Ronaldo alla Juventus e alla Serie A non ha sorpreso nessuno. La cosa era nell’aria da tempo e nell’ultima settimana si era percepito chiaramente quanto si fosse vicini alla soluzione del problema.
Un problema, sì. Perché era ormai interesse di entrambe le parti interrompere un rapporto nato sotto i migliori auspici ma lentamente naufragato a causa dei risultati deludenti della Juve in campo internazionale e sotto il peso dei debiti che, implacabili, avvolgono con le loro spire la maggior parte delle più gloriose squadre del vecchio continente soffocandole e ridisegnandone orizzonti e prospettive.
L’arrivo del portoghese in Italia, in un’estate del 2018 che ormai pare lontanissima, sembrava aprire una nuova era. Il nostro decadente campionato (mai stato d’accordo al 100% su questa definizione ma va sempre per la maggiore) tornava protagonista potendo vantare la presenza di uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi nel suo club di punta. Le cose, però, non sono andate come in molti speravano.

Ronaldo ha portato goals e giocate spettacolari ma non è riuscito a far fare il salto di qualità né alla sua squadra, né alla nostra Serie A. Perché? La risposta è abbastanza semplice: la crisi del nostro calcio e dei nostri club è una crisi di sistema. Pensare di risolverla con un singolo colpo, per quanto fenomenale, risulta aleatorio.
Dall’arrivo di Ronaldo il rendimento della Juventus è peggiorato sia dal punto di vista del gioco che dal punto di vista dei risultati. Per non parlare del punto di vista economico. Con buona pace di chi sosteneva che l’investimento si sarebbe ripagato grazie agli introiti del merchandising. L’epidemia globale ha solo aggravato una situazione già precaria che in tantissimi facevano finta di non vedere.

Il talento del campione non si discute. Ronaldo, a quasi trentasette anni, manda ancora a casa tutti quando vuole. Ma a calcio si gioca in undici contro undici e se impegni una fetta preponderante del tuo budget col suo ingaggio ti leghi mani e piedi condizionando in maniera decisiva le tue possibilità di costruire una rosa vincente.
Tra un vitello tonnato e l’altro, Ronaldo ha messo a segno più di cento reti durante la sua avventura in bianco-nero. Un numero enorme. Il problema è che, tra costo del cartellino e stipendio, queste reti, a spanne, sono costate un paio di milioni di euro l’una. Non sta in piedi. E, se pure la Juventus fosse riuscita a portare a casa una Champions League in questi tre anni (obbiettivo al quale non è andata neanche lontanamente vicina, al contrario del triennio precedente) l’impresa sarebbe davvero valsa l’investimento? Consentitemi di dubitarne.
La verità è che le nostre società, lontane anni luce dalle possibilità di spesa degli emiri e delle big della Premier League, dovrebbero cominciare a ripensare a sé stesse in maniera seria. La soluzione ai mali del nostro calcio risiede in una pianificazione a medio-lungo termine che tenga conto della sostenibilità economica. Gli all-inn (o tutto o niente) hanno portato a schiantarsi contro il muro, uno dopo l’altro, tutti i Paperon de paperoni che dominavano il mondo del pallone made in Italy. Da Tanzi a Cragnotti, da Berlusconi a Moratti…il nostro calcio si è irrimediabilmente suicidato nella convinzione che l’unica possibilità di vittoria risiedesse nella possibilità di spendere più soldi degli altri in “figurine” tralasciando investimenti strutturali (vivai e stadi in primis) fondamentali per competere alla pari nello scenario internazionale.
E sorprende che un errore di valutazione di questo tipo sia arrivato da una società, la Juventus, che a mia memoria era stata sempre modello di oculatezza nelle proprie scelte di pianificazione sportivo-economica.
Insomma, in questi tre anni a Torino, Ronaldo ha continuato a fare Ronaldo. È la Juve che ha smesso di fare la Juve (rubo le parole di Biasin). Il suo acquisto è stato un errore. Col senno poi possiamo dirlo senza essere tacciati di disfattismo.
La Juve e la nostra Serie A devono ripartire da basi più solide per tornare ai vertici. Siamo campioni d’Europa e, anche se quest’estate abbiamo perso fior di giocatori (oltre a Ronaldo sono andati via pure Lukaku, Donnarumma, Hakimi e De Paul – solo per citarne alcuni), abbiamo visto tornare a casa quattro grandi maestri: Allegri, Sarri, Mourinho e Spalletti.
Torniamo coi piedi per terra.
Ripartiamo da loro.
Ripartiamo da chi insegna a giocare a calcio.